“Mappa della longevità” (fonte PRB – Population Reference Bureau)
Come spesso accade anche questa riforma delle pensioni viene in parte giustificata con l’allungamento delle aspettative di vita degli italiani. Il dato è innegabile visto che l’Italia si trova ai primi posti al mondo con ben 81 anni calcolati come media generale. Tutta l’area europea, a dire il vero, non se la passa male (Svezia, Francia, Svizzera, Spagna a 82 e San Marino con 83 si classifica, pari merito con il Giappone, tra gli stati più longevi al mondo). Ma se è ormai scontato considerare questo fattore come un punto di eccellenza per la generale qualità della vita del paese (i 44 anni di aspettativa di vita degli uomini e delle donne afghane ne sono la riprova), siamo sicuri che sia altrettanto per il mondo del lavoro?
Il lavoratore anziano in passato era spesso considerato l’esperto, un potenziale per l’azienda che poteva trarre vantaggi dalla sua esperienza.
Oggi non è così.
Non credo sia dovuto al cambiamento sempre più veloce della tecnologia ma piuttosto a un cambiamento di approccio sociale nei confronti dell’anziano. Qualunque sia la causa sicuramente oggi la persona over 50 è spesso vista dal mondo del lavoro come un peso.
E anche per quelli che si ostinano a chiamare il lavoratore risorsa oggi l’anziano si trasforma a presto in una risorsa in esaurimento.
A prova di questo ci sono i crescenti bilanci che molte grandi aziende destinano alle politiche d’incentivo alla pensione o a percorsi di progressiva fuoriuscita del personale più anziano.
Personalmente non credo sia un tabù riparlare delle pensioni ma per farlo in modo serio occorre mettere sul tavolo tutti i fattori; l’aspettativa di vita “sociale” e quella “lavorativa”.